Hard disk e SSD: le differenze

Punto di partenza: capire cosa offrono i produttori

State scegliendo un nuovo laptop per il teleworking, oppure state acquistando le parti singole per il desktop dei vostri sogni. Vi imbattete però nella scelta del tipo di archiviazione e vedete diverse sigle e nomi: SSD, Hard Disk, M.2, SATA. Per un neofita dell’informatica o per qualcuno che cerca un laptop a buon prezzo, questi termini possono confondere. In questo articolo però vi spiego le differenze essenziali tra archiviazione tramite Hard Disk e SSD.

Uno standard limitato: decenni di affidabilità

Cominciamo dal Disco Rigido. L’hard disk ha una storia decennale, ed è uno dei metodi di archiviazione più efficienti e famosi. Viene inventato dal colosso IBM nel ’56, conteneva qualche MB di dati era grande quanto un frigorifero! Dagli anni ottanta qualsiasi nuovo computer ne montava uno, molto più piccolo e più o meno veloce per gli standard dei tempi. L’archiviazione di tipo HDD (Hard Disk Drive) si basa, detto in poche parole, sulla lettura e scrittura dei dati su una pila di dischi magnetici tramite una testina. Anche negli HDD più moderni ci sono comunque dei limiti fisici: quello meccanico, poiché tale testina si deve muovere più velocemente per scrivere o leggere i dati sul disco, e il disco deve girare; e quello dello spazio su disco effettivo, perché ogni bit è un cambio di verso magnetico sulla struttura cristallina del disco stesso (Domini di Weiss). Un HDD è voluminoso e pesante, ma allo stesso tempo abbastanza robusto, e viene spesso usato in dei server o banche dati. Dai primi anni 2000, nei PC desktop esso si collega alla scheda madre per via di un connettore IDE (Integrated Drive Electronics) e, dai primi anni 2010, tramite un cavo chiamato SATA (Serial Advanced Technology Attachment), che da quei tempi ad oggi ha fatto enormi passi in termini di velocità di trasmissione dei dati. Infatti il più recente è il SATA 3.0 che “vanta” di una velocità di 4.8 Gb/s effettivi.

Memoria flash: l’avvento del Solid State Drive

Siamo arrivati però in un’epoca dove le memorie RAM (memoria volatile) sono troppo veloci per gli standard di un HDD. Si opta quindi per un uso della memoria flash, basata sui semiconduttori, chiamata SSD (Solid State Drive). Una SSD è, nella pratica, una collezione di chip che archiviano i dati usando le proprietà dei semiconduttori nei transistor (NAND), modificandone lo stato elettronico. Questo determina un notevole vantaggio rispetto all’archiviazione su disco, poiché non richiede parti meccaniche e l’uso di componenti magnetici, riducendone l’usura e le dimensioni. Questo avanzamento nel modo di archiviare i dati è stato essenziale per il progresso dei dispositivi che conosciamo oggi. Un moderno laptop di fascia media ha la possibilità di montare una SSD di dimensioni che vanno fino a diversi TeraByte (1000 GB) in un minor volume, lasciando spazio alle schede madri e correndo testa a testa con le velocità delle nuove RAM. Tali drive però vengono in diverse forme. Come scritto all’inizio dell’articolo, le SSD moderne si attaccano alla scheda madre tramite l’interfaccia M.2. Questo tipo di slot è stato sviluppato per sostituire l’interfaccia mSATA nelle SSD e creare un nuovo standard per i produttori. I vantaggi di una SSD sull’hard disk sono numerosi, tra cui i tempi di trasferimento e accesso dei dati, che in confronto ad un HDD sono di 50 volte inferiori. Si parla anche di assenza totale di rumore, dato che le SSD sono prive di parti meccaniche, e una conseguente riduzione nella produzione di calore; si parla di pochi e nulli consumi elettrici, resistenza agli urti, minore possibilità di guasto (un HDD è calcolato guastarsi nel 10% dei casi). Le SSD sono ormai installate in ogni device moderno, al semplice leggero aumento di prezzo, ma una SSD è anche prodotta e acquistabile con la forma e interfacce di un HDD, per permettere un salto generazionale ai PC senza cambiarli o buttarli.

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